[EREDITA' LEGITTIMA-SOTTRATTA-OCCULTATA -ITALIA-ESTERO, COSTI, PREZZI, TARIFFE, CHIAMA Eredità Occultata? Svolgiamo indagini internazionali rintraccio eredità occultata.
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EREDITA LEGITTIMA-SOTTRATTA-OCCULTATA ITALIA-ESTERO-PARADISI FISCALI

EREDITA LEGITTIMA-SOTTRATTA-OCCULTATA ITALIA-ESTERO-PARADISI FISCALI - [EREDITA' LEGITTIMA-SOTTRATTA-OCCULTATA -ITALIA-ESTERO, COSTI, PREZZI, TARIFFE, CHIAMA

Eredita' Occultata? Siamo specilizzati nelle indagini per il rintraccio dell'asso ereditario "OCCULTATO", sia in Italia  che all'Estero, ivi compresi paradfisi e fiscali ed ed Offshore.

Costi, tariffe a Milano, tariffario a Milano-Investigatore Privato Esperto e Competente- Esperti in indagini a carattere informativo per uso legale.

La nostra agenzia investigativa IDFOX Srl dal 1991- da sempre opera in maniera chiara e trasparente riguardo il costo da sostenere per una investigazione per scoprire e rintracciare l'eredita' sottratta ed occutata all'estero.

Art. 527. Sottrazione di beni ereditari -I chiamati all'eredita', che hanno sottratto o nascosto beni spettanti all'eredita' stessa, decadono dalla facolta' di rinunziarvi e si considerano eredi puri e semplici, nonostante la loro rinunzia.

 Quanto costano le investigazioni per il rintraccio di un patrimnio legittimo occutato in Italia ed all'Estero? I costi per le indagini per il rintraccio di un patrimonio legittimo occultato in Italia o all'estero-la tariffa minima e' di euro 1.600 oltre iva, mentre all'estero i costi variano  in base al paese ed alle difficolta?'

                 Testamento, Eredità, Controversie! 

L’agenzia Investigativa IDFOX SRL  è specializzata nelle Indagini economiche bancarie , ricerca e raccolta informazioni in merito a controverse eredità e situazioni patrimoniali. Investigazioni internazinali per il rintraccio di patrimoni occultati paradisi fiscali ivi compreso eventuali prestanomi. Prove uso Legale!!!

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Siamo specializzati nel  rintraccio degli eredi sino al sesto grado sia in Italia che all'Estero. 

Forniamo dossier di prove legalmente valide in Tribunale per dimostrare quanto riscontrato durante il corso di tutte le indagine, allegando visure, documenti d’archivio, testimonianze e prove video-fotografiche. 

L’attività di indagini economiche/patrimoniali mira ad accertare la condizione patrimoniale – finanziaria economica “ STORICA”  di persone fisiche e/o giuridiche.

Essa si estrinseca essenzialmente nell’acquisizione di una serie di informazioni che costituiranno patrimonio indispensabile per quei soggetti interessati che in relazione ad esse devono prendere decisioni.

 

C’è anche John Elkann tra gli indagati della procura di Torino nell’ambito di accertamenti di carattere fiscale relativi all’eredità della famiglia Agnelli. Smentita la ricostruzione secondo cui le indagini riguarderebbero società fiduciarie del gruppo Agnelli, come emerso in un primo momento. L’indagine era partita dopo un esposto presentato da Margherita Agnelli, figlia di Gianni Agnelli e madre di John Elkann. In giornata la Guardia di Finanza ha acquisito dei documenti nello studio di un notaio che aveva curato l’eredità della famiglia Agnelli e in alcuni uffici. Tra gli indagati ci sono anche il commercialista torinese Gianluca Ferrero, storico contabile degli Agnelli, e Robert Von Groueningen, amministratore dell’eredità di Marella Agnelli su incarico dell’autorità giudiziaria svizzera. I tre sono indagati per presunti reati tributari. L’approfondimento degli inquirenti torinesi riguarderebbe il trattamento fiscale del vitalizio che Margherita versava alla madre Marella, sulla base di accordo stipulati nel 2004. L’analisi riguarderebbe i documenti relativi al 2018 e il 2019, anno in cui è morta Marella Agnelli.

Fonte Internet

I casi più frequenti di indagini collegate alle eredità sono:  

- investigazioni per il rintraccio di beni mobili ed immobili 

-accertamenti di compravendite simulate finte  e/o intestazioni a terzi 

- Indagini economiche “storiche” di beni dall'asse ereditario 

- accertamenti di compravendite simulate; 

- indagini sulla distrazione di beni dall’asse ereditario; 

- documentazione accettazione di fatto dell’eredità; 

- identificazione eredi e successibili; 

- investigazioni sull’esistenza dell’atto di rinuncia o accettazione con beneficio d'inventario. 

 

Eredità contesa, Accettazione dell’eredità: cosa bisogna sapere

Accettazione espressa, tacita o con beneficio d’inventario: differenze, peculiarità, convenienza. Cosa succede se il defunto ha lasciato debiti.

Ricevere un’eredità non è facile come sembra, neanche nei casi in cui il patrimonio del defunto era esiguo e i beni lasciati agli eredi sono pochi e di modesto valore: infatti l’acquisizione dell’eredità non avviene in automatico, ma ci sono dei passaggi da seguire, anche se è possibile ottenere il risultato per comportamenti concludenti, cioè semplicemente disponendo dei beni ereditari.

In ogni caso, l’accettazione dell’eredità comporta delle conseguenze, perché si è chiamati a rispondere anche dei debiti, privati o anche pubblici (ad esempio, quelli fiscali) che il de cuius aveva contratto ed ha lasciato insoluti prima della sua scomparsa. Vediamo, quindi, cosa bisogna sapere per decidere se accettare l’eredità e in che modo farlo, oppure quando conviene rinunciare.

Indice

* Come si diventa eredi?

* Accettazione con beneficio di inventario

* Come decidere se accettare l’eredità?

* Accettazione tacita dell’eredità: cosa comporta?

* Rinuncia all’eredità: termini e condizioni

Come si diventa eredi?

L’erede è colui che, alla morte di una persona (detta “de cuius”, con terminologia latina ormai entrata nel linguaggio comune), subentra nella totalità del patrimonio, se è erede unico, oppure, se è coerede, in una sua parte predefinita dalle quote di legittima o dalla volontà testamentaria: è comunque una quota ideale, che cade in comunione, e dovrà essere assegnata mediante un’operazione di divisione ereditaria (consensuale se compiuta con l’accordo delle parti, o altrimenti giudiziale, cioè all’esito di un’apposita causa civile).

L’assunzione della qualità di erede non è immediata a partire dalla morte del dante causa, bensì è subordinata ad accettazione che può essere:

* espressa, quando avviene con un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale;

* tacita, se si compie mediante alcune azioni e comportamenti materiali che presuppongono la qualità di erede e dai quali si desume la volontà di accettare l’eredità: ad esempio, la vendita di un bene, l’incasso di canoni di locazione, i prelievi dai conti correnti bancari.

Accettazione con beneficio di inventario

L’accettazione di eredità può essere di due tipi: pura e semplice, se è diretta ed incondizionata, oppure con beneficio di inventario. Se l’erede non vuole arrivare a pagare di tasca sua i debiti lasciati dal defunto, può fare i conti prima, ed accettare l’eredità ricevuta con “beneficio di inventario“: ci sono dei precisi termini e adempimenti per farlo, ma il risultato è che in questo modo l’erede beneficiato potrà contenere la responsabilità debitoria entro i limiti di quanto ha ereditato.

Se si teme che l’eredità sia gravata da debiti, si può optare per l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario. In sostanza, prima di accettare definitivamente si fa un elenco completo delle attività e delle passività gravanti sul patrimonio del defunto; questo consente di decidere consapevolmente se accettare definitivamente l’eredità o rifiutarla. Inoltre, grazie a questo sistema, l’erede rischia il pignoramento dei soli beni ereditati e non di quelli personali: la sua responsabilità per il pagamento dei debiti lasciati dal defunto è circoscritta al valore dell’attivo ricevuto in successione.

Esaminiamo meglio questo importante aspetto.

Come decidere se accettare l’eredità?

Il patrimonio ereditato non comprende solo i rapporti attivi (conti correnti e altri depositi bancari, beni mobili e immobili, titoli e quote societarie, crediti da riscuotere, ecc.)  ma anche quelli passivi, quindi le obbligazioni che il defunto aveva assunto mentre era in vita (tranne quelle personalissime, ad esempio dipingere un quadro) ed anche i debiti, che con la successione si trasferiscono a coloro – i cosiddetti chiamati – che accettano l’eredità.

La responsabilità per i debiti ereditari scatta a partire dall’accettazione dell’eredità, e non prima: quindi, incide molto sulle possibili scelte che che chi non ha ancora deciso se accettare o meno l’eredità – ed è soltanto un erede potenziale- deve compiere, per valutare la convenienza o meno dell’operazione. Ricorda che non si ereditano le sanzioni penali e amministrative e neppure i debiti ormai caduti in prescrizione: per maggiori dettagli, leggi quali debiti non si trasferiscono agli eredi.

Accettazione tacita dell’eredità: cosa comporta?

L’accettazione dell’eredità, o la rinuncia, deve intervenire entro 10 anni dall’apertura della successione (quindi dalla morte del de cuius). Chi però possedeva già i beni del defunto (ad esempio, un familiare convivente: un figlio che ha continuato a vivere nell’abitazione dei genitori deceduti) ha tempi più stretti: deve fare, entro 3 mesi, l’inventario di tali beni e nei 40 giorni successivi dichiarare se accettare o meno l’eredità.

Inoltre l’art. 476 del Codice civile dispone che «l’accettazione è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede». Capita spesso che un familiare si immette nel possesso dei beni ereditari – appartamenti, mobili, autovetture, conti correnti – disponendone come se fossero suoi: e a quel punto scatta l’accettazione in forma tacita dell’eredità, che negli effetti è equivalente a quella compiuta in forma esplicita, con un’apposita dichiarazione.

L’accettazione tacita dell’eredità – che, come abbiamo visto, avviene quando si compiono atti corrispondenti al potere che spetterebbe al proprietario dei beni ereditari, e incompatibili con la volontà di rinunciare – comporta il subentro automatico in tutti i debiti del defunto: i suoi creditori, quindi, potranno chiederne il pagamento non solo agli eredi che hanno accettato esplicitamente, ma anche a coloro che lo hanno fatto in modo tacito, ossia con dei comportamenti concludenti, e tra questi sono compresi atti come la voltura catastale dei beni immobili (ma non la dichiarazione di successione, che è un adempimento meramente fiscale).

Rinuncia all’eredità: termini e condizioni

Chi accetta l’eredità non può più rinunciarvi, e quindi non gli sarà possibile evitare il pagamento dei debiti del defunto. Anche per questo bisogna sapere quando è opportuno rinunciare all’eredità: si può fare con una dichiarazione, resa al notaio o al cancelliere del tribunale del luogo in cui si è aperta la successione, in cui si manifesta la volontà di non voler ricevere il patrimonio lasciato dal defunto, o la quota di esso spettante. Questo consente di liberarsi in partenza dalla responsabilità per il pagamento dei debiti gravanti sul patrimonio ereditario, che potrebbero superare il valore dell’attivo ricevuto: chi ha rinunciato all’eredità non può essere chiamato dai creditori a rispondere dei debiti lasciati dal defunto.

Quanto ai termini, mentre la facoltà di rinunciare all’eredità si prescrive normalmente in 10 anni, così come avviene per il diritto di accettare (lo stabilisce l’art. 480 del Codice civile), chi era nel possesso dei beni ereditari – perché, ad esempio, conviveva con il defunto o ha utilizzato i suoi immobili – per accettare o rinunciare ha i termini più ristretti previsti dall’art. 485 del Codice civile, che sono gli stessi previsti per il beneficio d’inventario: 3 mesi di tempo dalla data di morte per redigerlo, più 40 giorni.

Coloro che hanno sottratto o nascosto i beni ereditari decadono dal diritto di rinunciare all’eredità e – come dispone l’art. 527 del Codice civile, si considerano «eredi puri e semplici, nonostante la loro rinunzia», che, pertanto, in tal caso non ha nessun valore.

 

L’agenzia Investigativa IDFOX SRL  è  stata fondata nel 1991  ed è nota in Italia e all'estero per la sua attività investigativa in ogni settore. 

Con oltre 30  anni di esperienza in fattispecie di eredità controverse, effettua indagini per identificare eventuali sottrazioni di beni ereditari, finte donazioni, investigazioni volte a determinare l’effettiva quota dell’eredità o a verificare l’accettazione tacita o con beneficio di inventario da parte degli eredi. 

Vengono raccolte prove documentali “STORICHE”  che possono essere utilizzate anche in tribunale per risolvere controversie sull’eredità. Le indagini economiche vengono svolte sia in Italia che all’estero alla ricerca di beni mobili ed immobili occultati. 

Dopo anni di esperienza possiamo affermare che soggetti benestanti per ovvi motivi creano in paesi esteri dei piccoli tesori all’insaputa dei familiari ed in caso di morte solo parenti di “estrema fiducia"  sono a conoscenza del “tesoro”. 

 

DI SEGUITO ALCUNI PAESI CON CUI OPERIAMO: 

IDFOX SRL  è un’organizzazione internazionale Leader  con corrispondenti detective privati e/o agenzie investigative online in tutto il mondo 

Europa: 

Francia, Spagna, Germania, Svizzera, Principato di Monaco, Belgio, Olanda, Danimarca, Svezia, Norvegia, Austria, Gran Bretagna, Lussemburgo, Italia, Croazia, Moldavia, Ungheria, Romania, Turchia, Israele, Slovacchia, Ucraina, Bielorussia, Albania, Slovenia, Serbia, Polonia, Lituania, Estonia, Russia ed ex Repubblica URSS - Londra, Madrid, Amsterdam, Berlino, Ginevra, Zurigo , Bucarest, Praga, Varsavia, Mosca, Zagabria,  Budapest Istanbul, Tel Aviv, 

America nord / centro / sud 

Stati Uniti d’America, Messico, Cuba, Cile, Costa Rica, Repubblica Domenicana, Giamaica, Guatemala, Honduras, Nicaragua, Panama, Venezuela, Colombia, Peru, Brasile, Bolivia, Argentina. 

Nelle Città:
Los Angeles, New York, Città del Messico, L’Avana, Santiago, San José, Santo Domingo, Kingston, Città del Guatemala, Tegucigalpa, Managua, Panamà, Caracas, Bogotà, Lima, Rio De Janeiro, San Paolo, Bahia, Sucre, Buenos Aires. 

Asia e Sud Est Asiatico 

India, Repubblica di Singapore, Thailandia, Cambogia, Cina, Giappone, Repubblica di Corea, Vietnam, Filippine. 

Nelle città: 

Bombay, Singapore, Bangkok, Phnom Penh, Hong Kong, Tokyo, Seul, Saigon, Hanoi, Manila. 

Australia 

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Nelle Città: 

Sydney, Canberra, Melbourne. 

Paesi Arabi ed Africa 

Africa, Turchia, Sud Africa, Arabia Saudita, Senegal, Nigeria, Egitto, Madagascar, Kenya, Tanzania, Oman, Marocco, Libia. 

Nelle Città: 

Tunisi, Nairabi, Città del Capo, Riyad, Dakar, Il Cairo, Antananarivo, Nairobi, Dodoma, Mascate, Tripoli. 

Se un dubbio vi attanaglia e per qualsiasi informazione per risolvere i vostri problemi personali e/o professionali su investigazioni aziendali, investigazioni private, investigazioni tecniche scientifiche e investigazioni finanziare e commerciali, non esitate a mettervi in contatto con noi per richiedere un preventivo gratuito. 

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Tutti i nostri servizi sono documentati con prove  dettagliate con relazione tecnica per eventuale uso Legale. 

Svolgere investigazioni private civili e penali nei confronti del coniuge, collaboratori, soci e dipendenti non è un illecito in quanto tale attività è regolamentata dalle autorizzazione prefettizia ai sensi dell’art. 134 del T.U.L.P.S. 

 

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News e Articoli

Esecutore testamentario

L'art. 700 c.c. prevede la facoltà per il testatore di nominare un esecutore testamentario, cioè una persona di fiducia che deve controllare la corretta attuazione delle sue ultime volontà

Chi è l'esecutore testamentario

L'esecutore testamentario (ex art. 700 c.c.) è il soggetto che ha la funzione di dare esecuzione o curare che sia eseguita dall'onerato, la volontà testamentaria. 

L'esecutore testamentario, ai sensi del successivo art. 701 c.c., può essere anche un erede o un legatario, ciò che conta è che l'esecutore abbia la "piena capacità di obbligarsi" e quindi la piena capacità di agire.  

Come viene fatta la nomina

Il testatore, ai sensi degli artt. 700 e ss. c.c. ha facoltà di nominare un esecutore testamentario per il caso in cui tutti o alcuni chiamati non vogliano o non possano accettare. 

La nomina può essere contenuta in un testamento o in un atto avente la forma testamentaria: si ritiene possibile anche la nomina di un esecutore come mandatario post mortem. 

Chi può essere nominato esecutore testamentario

Possono essere nominate, quali esecutori testamentari, solamente i soggetti che hanno piena capacità di obbligarsi e, tra di essi, non sono esclusi i chiamati alla successione: possono quindi essere nominati esecutori gli eredi o i legatari. 

L'esecutore nominato dovrà accettare la carica, con una dichiarazione resa alla cancelleria del Tribunale nella cui giurisdizione si è aperta la successione, e l'accettazione viene annotata nel registro delle successioni.

Requisiti formali art. 702 c.c.

L'accettazione della nomina o la rinunzia di esecutore testamentario deve avvenire in forma scritta e deve essere resa, a pena di nullità, presso la cancelleria del tribunale del luogo in cui si è aperta la successione, nonché registrata presso il registro delle successioni. L'accettazione inoltre non potrà essere subordinata a termine o condizioni.

La forma richiesta dall'art. 702 c.c. è ad substantiam e non è quindi ammissibile l'accettazione tacita. L'ultimo comma di tale articolo prevede poi la possibilità, su istanza di qualsiasi interessato, che l'autorità giudiziaria possa assegnare un termine per l'accettazione da parte dell'esecutore decorso il quale lo stesso si si considererà rinunciante. Si tratta in sostanza di un'actio interrogatoria che segue il medesimo procedimento dell'art. 749 c.p.c.

Lo spirare di tale termine determina quindi la decadenza del designato dal potere di accettare la nomina. 

Cosa fa l'esecutore testamentario

In virtù di quanto disposto dall'art. 703 c.c., l'esecutore testamentario deve occuparsi della gestione e della cura dei beni ereditari affinché le disposizioni di ultima volontà del testatore siano correttamente eseguite. L'esecutore può porre in essere tutti gli atti di gestione che si rivelino necessari provvedendo ad un'amministrazione dei beni secondo le regole di diligenza del buon padre di famiglia.

A tal fine, di regola e salva contraria volontà del de cuius, l'esecutore prenderà possesso degli stessi. Il terzo comma del medesimo articolo prevede che il possesso dei beni ereditari possa durare un anno a partire dall'accettazione dell'eredità, ferma restando la possibilità per l'autorità giudiziaria in caso di evidente necessità, e previo contraddittorio con gli eredi, di prolungarne la durata per un anno ulteriore.

Nel caso in cui sia necessario alienare i beni ereditari l'esecutore è tenuto a richiedere l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, che procederà anche in questo caso sentiti preventivamente gli eredi. L'autorizzazione è altresì necessaria per tutti gli atti di straordinaria amministrazione che non siano già stati previsti come necessari dal testatore. Da ultimo si ritiene che l'amministrazione dell'eredità avviene a nome dell'esecutore, ma gli effetti degli atti ricadono direttamente nella sfera patrimoniale dell'erede.

Il rendiconto della gestione

L'esecutore testamentario, al termine del primo anno dall'apertura della successione, deve rendere il conto della propria gestione. 

L'obbligo del rendiconto sussiste solamente quando l'esecutore abbia avuto l'amministrazione dei beni ereditari e, nonostante sia un ufficio gratuito, egli risponde della propria gestione per colpa. 

Ogni interessato può domandare l'esonero dell'esecutore testamentario nel caso di gravi irregolarità nell'espletamento della sua funzione o in caso di comportamenti che abbiano minato la sua fiducia.

L'esecutore testamentario rappresenta processualmente l'eredità: le azioni dovranno quindi essere proposte tanto nei confronti dell'erede, che nei confronti dell'esecutore.

Nonostante sia un ufficio gratuito, il testatore può prevedere, a favore dell'esecutore, una retribuzione a carico dell'eredità.

Ulteriori facoltà dell'esecutore testamentario

In ogni caso l'attività dell'esecutore non si limita alla presa di possesso dei beni e alla loro amministrazione; l'art. 705 c.c. prevede infatti la possibilità per l'esecutore di richiedere l'apposizione di sigilli laddove tra i chiamati all'eredità vi siano dei minori, degli assenti o degli interdetti, o laddove tra i chiamati vi siano delle persone giuridiche. In questi casi è compito dell'esecutore far redigere l'inventario dei beni dell'eredità.

A norma dell'art. 704 c.c. poi durante la gestione dell'esecuzione del testamento le azioni relative all'eredità devono essere proposte anche nei confronti dell'esecutore. 

Lo stesso ha poi la facoltà di intervenire nei giudizi promossi dall'erede e può esercitare le azioni inerenti all'esercizio del suo ufficio. 

Si tratta di due ipotesi differenti: nelle azioni relative all'eredità la legittimazione passiva spetta all'erede e l'esecutore testamentario è litisconsorte necessario ex art. 102 c.p.c., viceversa nelle azioni inerenti all'ufficio l'esecutore gode di autonoma legittimazione. 

Tra le azioni inerenti all'ufficio si annoverano le azioni dirette ad accertare i diritti successori e le azioni volte ad individuare i soggetti cui l'esecutore deve consegnare i beni dell'eredità, nonché le azioni concernenti la validità o meno del testamento.

Divisione e consegna dei beni dell'eredità

Ove l'esecutore non sia un erede o un legatario il testatore può prevedere che lo stesso, previa audizione degli eredi, proceda alla divisione tra gli eredi dei beni dell'eredità in osservanza di quanto disposto dall'art. 733 c.c.

In ogni caso, a norma dell'art. 707 c.c., l'esecutore testamentario deve provvedere a consegnare all'erede che lo richieda i beni che non siano necessari all'esercizio del suo ufficio. In base a tale disposizione quindi l'esecutore è tenuto alla consegna dei beni ove l'erede ne faccia richiesta, laddove sussistano sufficienti garanzie per l'adempimento dei compiti che l'esecutore deve svolgere.

Viene precisato, inoltre, che l'esecutore non possa rifiutarsi di consegnare i beni a causa di obbligazioni che lo stesso debba adempiere in conformità a quanto disposto dal testatore o di legati sottoposti a termine o condizione, nel caso in cui l'erede abbia dimostrato di averli già soddisfatti o abbia offerto idonea garanzia in tal senso.

Responsabilità dell'esecutore testamentario per gravi irregolarità

L'art. 710 c.c. prevede che su istanza di ogni interessato, l'autorità giudiziaria possa esonerare l'esecutore dal suo ufficio in caso di "gravi irregolarità nell'inadempimento dei suoi obblighi, per inidoneità dell'ufficio o per aver commesso azione che ne menomi la fiducia".

Si ritiene che le gravi irregolarità possano essere integrate anche da comportamenti negligenti, non essendo necessario il dolo da parte dell'esecutore. L'autorità giudiziaria potrà provvedere solo previa audizione dell'esecutore, ove decida per l'esonerò non potrà però provvedere alla nomina di altro esecutore non designato direttamente dal testatore.

Compenso esecutore testamentario

In dottrina si ritiene pressoché unanimemente che si tratti di un ufficio di diritto privato che trova la sua fonte nella volontà del testatore. 

Infatti, nonostante sussista un interesse di carattere pubblicistico dato dalla corretta gestione dei beni ereditari, ciò non vale per ciò solo a determinare che l'esecutore testamentario possa essere equiparato alla figura del pubblico ufficiale. 

Di regola è di carattere gratuito, ferma restando la facoltà del testatore, a norma dell'art. 711 c.c., di stabilire una retribuzione posta a carico dell'eredità. 

In ogni caso, le spese necessariamente connesse all'attività dell'esecutore che sono quindi state effettuate nell'esercizio dei doveri o dei poteri dell'esecutore, ivi comprese le spese giudiziali, sono poste a carico dell'eredità ex art. 712 c.c. 

 

Che cos’è l’eredità giacente

Si ha eredità giacente (artt. 528 e ss. c.c.) nel periodo di tempo che intercorre tra l'apertura della successione e l'accettazione dell'eredità. Il fine è assicurare una tutela al patrimonio ereditario di cui si occuperà un curatore appositamente nominato

Cosa si intende per eredità giacente

La giacenza è una condizione che si verifica nelle situazioni di incertezza sulla destinazione del patrimonio ereditario: essa ha luogo quando si è aperta la successione e il chiamato all'eredità non ha ancora accettato e, analogamente, quando non si ha notizia di eventuali eredi in vita del de cuius.

Il legislatore per assicurare una tutela del patrimonio ereditario in questa fase ha previsto che si nomini, d'ufficio o su istanza di parte, un curatore che amministri l'eredità giacente.

L'art. 528 primo comma c.c. dispone, infatti, che: "Quando il chiamato non ha accettato l’eredità e non è nel possesso di beni ereditari, il tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza delle persone interessate o anche d’ufficio, nomina un curatore dell’eredità “.

La normativa di riferimento

L'eredità giacente è disciplinata sia dal codice civile che dal codice di procedura civile.

Gli articoli di riferimento sono i seguenti:

  - 528 c.c. sulla nomina del curatore; art. 529-art- 531 c.c. sugli obblighi e i compiti del curatore; art. 532 c.c. sulla cessazione della curatela per accettazione dell'eredità;

  - 781-783 c.p.c., rispettivamente, sulla notificazione del decreto di nomina del curatore, sulla vigilanza del giudice, sulla vendita dei beni ereditari; art. 193 disp. att. c.p.c. sul giuramento del curatore dell'eredità giacente.

Eredità giacente ed eredità vacante: differenza

L'elemento caratterizzante la giacenza, che è appunto la situazione di incertezza, è alla base della distinzione tra l'eredità giacente e l'eredità vacante.

Quest'ultima, infatti, è un istituto caratterizzato dalla certezza (e non incertezza) della mancanza di chiamati all'eredità (e tale consapevolezza comporta la devoluzione di quest'ultima a beneficio dello Stato). 

I presupposti dell'eredità giacente

I presupposti che fondano la giacenza, stabiliti dall'articolo 528 del codice civile, sono:

  - la mancata accettazione dell'eredità da parte del chiamato,

  - il mancato possesso dei beni ereditari da parte del chiamato,

  - la nomina del curatore dell'eredità giacente.

Con riferimento al primo presupposto, parte della dottrina, aderendo al dato letterale, ritiene che la giacenza possa verificarsi solamente quando vi sia un unico chiamato alla successione; altra dottrina, preferibile, ritiene invece che essa sussista anche nel caso in cui vi siano più chiamati. 

Il problema sorge nel caso in cui vi siano più chiamati e, di questi, non tutti abbiano accettato: in tal caso, per la quota non accettata, può essere nominato un curatore della quota ereditaria giacente? Sul punto vanno segnalate due sentenze della Corte di cassazione che si sono pronunciate sula questione, ma in maniera differente tra loro: la numero 2611 del 22 febbraio 2001, che dà risposta negativa, e la numero 5113 del 19 aprile 2000, che dà invece risposta positiva.

Il curatore dell'eredità giacente

La nomina del curatore è l'atto che costituisce la giacenza in quanto, con essa, il chiamato all'eredità perde i poteri dei quali godeva ai sensi dell'articolo 460 del codice civile (rubricato "Poteri del chiamato prima dell'accettazione").

Del resto, l'istanza per la nomina del curatore viene effettuata proprio a causa dell'inerzia del chiamato il quale, non volendo accettare e non volendo essere autorizzato a compiere gli atti necessari, lascia in stato di abbandono il patrimonio ereditario.

Chi può chiedere la nomina del curatore dell'eredità giacente

L'istanza per la dichiarazione di giacenza dell'eredità e la nomina del curatore può essere proposta da chiunque vi abbia interesse.

L'assistenza del difensore è facoltativa.

Per richiedere l'apertura della procedura di eredità giacente occorre fare ricorso al giudice della successione (con relativa nota di iscrizione) cui allegare una serie di documenti (certificato di morte, certificato storico anagrafico del defunto e della sua famiglia di origine attestanti l'inesistenza di chiamati all’eredità entro il 6° grado, marca da bollo da euro 27,00, contributo unificato di euro 98,00).

Cosa fa il curatore dell'eredità giacente

Il curatore dell'eredità giacente è titolare di un ufficio di diritto privato, che si perfeziona a seguito del giuramento. Tra i suoi obblighi rientra, primo tra tutti, quello di redigere l'inventario del patrimonio ereditario e di compiere gli atti urgenti.

Tale soggetto ha la legittimazione processuale in nome e per conto dell'eredità, amministra il patrimonio ereditario per tutta la durata della giacenza e, previa autorizzazione del Tribunale, ha facoltà di liquidare le passività, compiere attività d'impresa e vendere beni immobili (nel caso di necessità o utilità evidente).

Cessazione della curatela

La curatela cessa non per abbandono dell'ufficio da parte del curatore (nel qual caso si provvederà alla nomina di altro curatore) ma nei casi di:

  - accettazione dell'eredità da parte del chiamato,

  - esaurimento dell'attivo ereditario

  - accertamento della mancanza di chiamati all'eredità.

In tale ultima ipotesi viene dichiarata la vacanza ereditaria e l'unico successore è lo Stato.

 

Successione testamentaria: come si fa?

Come si divide l’eredità del defunto se c’è un testamento: la nullità, le contestazioni e le lesioni delle quote di legittima.

Quando si parla di successione testamentaria ci si riferisce alla spartizione dell’eredità del defunto attuata secondo le ultime volontà da questi espresse nel testamento. Come si fa la successione testamentaria? C’è una prima parte che compete al testatore nel momento in cui redige il testamento: questi infatti è tenuto a rispettare determinate forme e requisiti per rendere valido il testamento stesso e far sì che esso non possa essere contestato. C’è poi una successiva fase che coinvolge invece gli eredi nel momento in cui si apre la successione ossia dopo la morte del testatore.

In questa guida, di carattere schematico, proveremo a spiegare come si fa la successione testamentaria, quali sono i passaggi e gli adempimenti che le parti in gioco devono rispettare per procedere alla corretta spartizione del patrimonio.

Cos’è la successione testamentaria?

La successione testamentaria è la procedura rivolta a ripartire il patrimonio del defunto secondo le quote da questi indicate nel proprio testamento. Essa quindi presuppone l’esistenza di un testamento valido, sia esso un testamento olografo o fatto tramite il notaio (di tanto parleremo meglio a breve).

La successione testamentaria si contrappone perciò alla successione legittima, che è invece quella che si verifica in assenza di testamento o con un testamento invalido: in tal caso, infatti, il patrimonio del defunto viene diviso tra i suoi familiari secondo porzioni prestabilite dal Codice civile.

Se il testamento dispone per una parte soltanto delle sostanze del defunto, per le restanti si applica la successione per legge. Si ha così una successione mista.

Attraverso il testamento, il testatore può istituire eredi alcuni soggetti che per legge non lo sarebbero (ad esempio, amici o onlus) o prevedere quote diverse rispetto a quelle sancite dalla legge salvo riservare una quota minima (cosiddetta “legittima”) al coniuge e ai figli (o, in assenza dei figli, ai genitori).

Come si fa il testamento?

Ci sono tre modi per fare un testamento.

Il primo è il testamento olografo, quello cioè redatto dallo stesso testatore con carta e penna, datato e firmato. Non può essere scritto al computer o fatto tramite una registrazione vocale o video. Il testamento viene da lui custodito personalmente. Potrebbe però essere affidato anche a terzi (in tal caso, però, non è possibile fare fotocopie ma bisognerà creare tanti originali identici per quante sono le persone a cui si vuol dare il proprio testamento). Il testamento olografo può anche essere custodito presso un notaio.

Il secondo modo per fare testamento è il testamento pubblico. In questo caso, l’atto viene dettato a un notaio che lo redige, lo firma e lo custodisce. Seppur più costosa, questa forma di testamento non crea i tipici problemi del testamento olografo: non ci potranno infatti essere contestazioni in merito all’autenticità della firma o della scrittura, né tentativi di distruzione o alterazione ad opera di terzi.

Infine, meno usato, è il testamento segreto, che è quello redatto anche tramite il computer o da un terzo e poi sottoscritto dal testatore e infine custodito dal notaio.

Cosa scrivere in un testamento?

Nel testamento, il suo autore può limitarsi a indicare le quote spettanti ai singoli eredi o ripartire tutti i beni specificando a chi questi debbano essere assegnati.

Il testatore deve in ogni caso sapere che alcuni parenti prossimi, ossia il coniuge e i figli o, in assenza dei figli, i genitori, sono tutelati dalla legge. Questi soggetti sono chiamati legittimari: ad essi è riservata una quota minima dell’eredità, a prescindere dalla volontà del testatore stesso. Essi non possono quindi essere diseredati o ricevere meno di quanto la legge riserva loro. Ma per calcolare se un legittimario è stato leso o meno bisogna anche considerare le donazioni che questi ha ricevuto dal testatore quando era ancora in vita.

Il testatore può anche nominare un esecutore testamentario che gestisca la successione, o un tutore a soggetti minorenni. Il testamento può contenere anche o solo disposizioni non patrimoniali.

Come si apre la successione?

La legge dice che chi è in possesso di una copia del testamento deve consegnarla al notaio affinché lo pubblichi, ossia ne dia lettura e lo registri.

Gli eredi potrebbero anche non ricorrere al notaio se hanno già trovato un accordo sulla spartizione dei beni del defunto e tra loro non insorgono contestazioni. Tuttavia, la presenza del notaio sarà necessaria in presenza di eventuali immobili affinché il cambio di proprietà sia trascritto nei pubblici registri. Si potrebbe anche procedere alla voltura catastale senza ricorrere al notaio (recandosi personalmente presso il Catasto) ma a patto che il bene non debba poi essere venduto o donato. Difatti, qualora si dovesse profilare la necessità di un trasferimento della titolarità dell’immobile, bisognerà ricorrere al notaio affinché trascriva prima il passaggio di proprietà dal defunto all’erede e poi da quest’ultimo al terzo cessionario.

Quando si apre la successione?

Formalmente, la successione si apre nel momento della morte del testatore. È da questo momento infatti che retroagiscono tutti gli effetti conseguenti al passaggio di proprietà dei suoi beni, anche se l’accettazione dell’eredità dovesse intervenire dopo molto tempo.

Dove si fa l’apertura della successione?

La successione si apre nel luogo di ultima residenza del defunto. È questo che segna la competenza territoriale del tribunale nel caso in cui dovessero insorgere contestazioni tra gli eredi.

Quali sono le pratiche della successione?

Entro un anno dall’apertura della successione gli eredi devono presentare all’Agenzia delle Entrate la cosiddetta dichiarazione di successione. Questa serve a liquidare le imposte sull’eredità. A presentarla può essere anche un solo erede, senza bisogno del consenso degli altri.

Successivamente, bisogna procedere ad accettare l’eredità. L’accettazione ha effetto retroattivo e ha effetto dal momento dell’apertura della successione, sicché ci sarà una continuità tra la proprietà del defunto e quella dell’erede. Chi accetta l’eredità risponde anche dei debiti del defunto, tranne le sanzioni amministrative, fiscali, penali, le multe stradali, gli obblighi alimentari, i debiti di gioco.

Qui si profilano una serie di ipotesi.

Si può accettare l’eredità in forma espressa, recandosi presso la cancelleria del tribunale o presso il notaio e fornendo la propria dichiarazione.

È anche possibile un’accettazione tacita, ossia con un comportamento concludente come la vendita dei beni del defunto o la riscossione dei crediti.

L’accettazione può anche avvenire con beneficio di inventario: in tal caso, l’erede risponde dei debiti del defunto nei limiti del valore di quanto ricevuto con la successione, senza quindi “rimetterci”. In pratica, i creditori del defunto potranno pignorare solo i beni che l’erede ha ricevuto in successione e non anche quelli personali come avviene invece per gli eredi puri e semplici.

Se l’erede non intende rispondere dei debiti del defunto deve rifiutare l’eredità.

Quanto tempo per accettare l’eredità?

Per accettare l’eredità ci sono 10 anni, a meno che i creditori del defunto non chiedano al giudice di ridurre tale termine.

Chi però è nel possesso dei beni del defunto (ad esempio, un convivente) ha meno tempo: entro tre mesi dal decesso deve fare l’inventario dei beni e nei successivi 40 giorni deve comunicare se intende accettare o meno l’eredità, altrimenti si considera erede puro e semplice.

Si può revocare l’accettazione dell’eredità?

L’accettazione dell’eredità non si può revocare, neanche se l’erede non era stato messo al corrente dell’ammontare dei debiti del defunto.

Si può revocare la rinuncia all’eredità?

La rinuncia all’eredità è un atto revocabile a patto che non siano decorsi dieci anni dall’apertura della successione e il patrimonio non sia già stato distribuito integralmente.

Come contestare un testamento?

Varie sono le ipotesi in cui si può contestare un testamento.

Il testamento olografo è nullo se la scrittura non è quella del testatore o se manca della firma.

Il testamento è annullabile se risulta che il testatore lo ha redatto sono minaccia, anche psicologica, da parte di un terzo; se è l’effetto del dolo di un terzo ossia se la volontà del testatore viene fuorviata attraverso l’utilizzo di artifizi o raggiri; se il testatore lo ha redatto in una condizione (dimostrabile) di incapacità di intendere e volere.

Il testamento può essere contestato entro 10 anni dalla sua apertura dai soli eredi legittimari (coniuge, figli e genitori) se questi non hanno ricevuto le quote loro spettanti per legge.

Cos’è il legato?

Il testatore può istituire uno o più legati, cioè attribuire a determinati soggetti, che non diventano eredi, beni o diritti determinati. Il legato si acquista automaticamente senza bisogno di accettazione, salva la facoltà di rinunziare.

Il legatario ha la facoltà di rinunziare al legato. Se il legato ha ad oggetto beni immobili, la rinunzia deve essere fatta in forma scritta a pena di nullità.

Chi ha diritto alla quota di legittima?

Hanno diritto alla quota di legittima:

  - il coniuge o la parte dell’unione civile,

  - i figli (legittimi o naturali) e i loro discendenti

  - in assenza di figli, i genitori.

La quota di legittima spettante a ciascuno degli appartenenti a tali categorie varia a seconda di come gli stessi concorrono tra loro (uno più figli, coniuge e figli, etc.).

Cosa succede se gli eredi legittimari non vengono rispettati?

Se il testatore non ha rispettato le quote di legittima dei legittimari questi hanno 10 anni dal decesso del defunto (non potendo mai agire prima di questo momento) per contestare la divisione ereditaria e rimettere in discussione tutta la spartizione del patrimonio. A tal fine potranno contestare le disposizioni testamentarie per ripristinare le proprie quote di legittima. Se ciò non dovesse bastare, essi possono anche contestare le donazioni fatte dal testatore in vita. In tal modo si evita che questi, per ledere i legittimari, intesti i propri beni a eventuali amici o familiari prediletti prima di morire. Dopo 10 anni, però, il testamento non può più essere contestato.

Potrebbe succedere che il donatario del testatore ceda a terzi il bene ricevuto in donazione. Ebbene, i legittimari possono pretendere dal terzo la restituzione del bene se non sono decorsi 20 anni dalla trascrizione della donazione.

 

Rinuncia all’eredità: si può revocare

Come si fa la revoca della rinuncia all’eredità, quali le condizioni e i termini, e quando è conveniente farla.

Come noto, chi accetta l’eredità non può poi revocare tale scelta. Non può cioè tornare sui suoi passi neanche se dovesse accorgersi, a un più approfondito esame, dell’esistenza di debiti del de cuius di cui non aveva conoscenza. Al contrario, la rinuncia all’eredità si può revocare. Detto in parole povere, chi ha rifiutato la qualità di erede può cambiare idea e acquisire la quota del patrimonio del defunto che gli sarebbe spettata. Tuttavia, ai fini della revoca della rinuncia all’eredità è necessario che sussistano determinate condizioni. Di tanto parleremo meglio qui di seguito.

Cos’è la rinuncia all’eredità?

Fino a quando il chiamato all’eredità non dichiara se accettare la qualità di erede, questi non subentra nelle posizioni giuridiche del defunto. Quindi, non è proprietario dei suoi beni ma non succede neanche nei relativi debiti.

L’accettazione va fatta dinanzi al notaio o al cancelliere del tribunale del luogo ove si è aperta la successione. Attenzione però: l’accettazione può avvenire anche senza una dichiarazione espressa se il chiamato pone un comportamento incompatibile con la volontà di rinunciare (come l’utilizzo o la vendita dei beni del defunto, l’accatastamento in proprio favore di un immobile, la riscossione dei canoni di locazione a questi dovuti, ecc.). In tali situazioni, si verifica ciò che la legge chiama accettazione tacita dell’eredità.

A voler essere precisi, non bisognerebbe neanche parlare di rinuncia all’eredità visto che tale acquisto non si è ancora verificato nel suo patrimonio: egli, infatti, compie un atto di rifiuto mediante il quale respinge la possibilità di acquistare l’eredità e quindi abdica alla qualità di chiamato all’eredità. La rinuncia non sarebbe riferibile all’eredità, che non è ancora entrata nel patrimonio del chiamato, ma al diritto di accettare l’eredità stessa; diritto che è sorto con l’apertura della successione.

Si può revocare la rinuncia all’eredità?

Come abbiamo detto in partenza, la rinuncia all’eredità può essere revocata. Con la revoca, quindi, il chiamato diventa erede. In pratica, la rinuncia produce lo stesso effetto dell’accettazione dell’eredità, con conseguente acquisizione della quota del patrimonio del defunto con effetto retroattivo (a partire dall’apertura della successione, ossia dal decesso).

La revoca della rinuncia all’eredità è prevista espressamente dall’articolo 525 del Codice civile a norma del quale «fino a che il diritto di accettare l’eredità non è prescritto contro i chiamati che vi hanno rinunziato, questi possono sempre accettarla, se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell’eredità».

La revoca della rinuncia all’eredità implica non solo l’acquisizione del patrimonio attivo del defunto ma anche di quello passivo, ossia dei debiti. La responsabilità per le obbligazioni del defunto è “pro quota”: in buona sostanza, ciascun erede è tenuto a corrispondere solo una parte dei debiti del defunto, quella corrispondente alla sua quota. Solo con riferimento ai debiti tributari relativi a Irpef e imposta di successione si verifica una solidarietà passiva: in altri termini, l’Agenzia delle Entrate può chiedere l’integrale pagamento a ciascun singolo erede, indipendentemente dalla sua quota.

Come si fa la revoca della rinuncia all’eredità?

La revoca potrà rivestire la stessa forma disposta dalla legge per l’accettazione, ossia può essere:

  - espressa, con dichiarazione rilasciata al notaio o al cancelliere del tribunale;

  - tacita ossia con un comportamento concludente del tutto simile a quello di chi accetta l’eredità in modo tacito.

Invero si discute se l’accettazione successiva possa avvenire tacitamente, atteso che la rinuncia è un atto formale e, quindi, è inammissibile una revoca tacita della rinuncia. Esistono dei precedenti della Cassazione secondo cui la revoca della rinuncia può essere solo espressa: «In tema di rinunzia all’eredità, la quale determina la perdita del diritto all’eredità ove ne sopraggiunga l’acquisto da parte degli altri chiamati, l’atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne (dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni). Pertanto non è ammissibile una revoca tacita della rinunzia». Tuttavia, si ammette la possibilità che l’accettazione successiva avvenga anche in maniera tacita, in quanto in tal caso la revoca della rinuncia non viene concepita come atto a sé stante, ma quale effetto dell’accettazione.

Quando è possibile la revoca della rinuncia all’eredità?

La revoca della rinuncia all’eredità è subordinata a due condizioni:

  - non deve essere caduto in prescrizione il diritto di accettare l’eredità, il che significa che non devono essere decorsi 10 anni dall’apertura della successione;

  - la quota che sarebbe spettata all’erede rinunciatario non deve essere stata, nel frattempo, acquisita da un altro chiamato all’eredità (ad esempio il figlio). Ragion per cui la revoca della rinuncia all’eredità non è possibile nel momento in cui tutto il patrimonio è stato ormai diviso tra gli eredi.

La quota del rinunziante non deve quindi essere stata già acquistata da altri chiamati. Tale acquisto può avvenire sia per un atto di accettazione (espressa o tacita) che automaticamente nelle ipotesi di accrescimento.

Quando conviene revocare la rinuncia all’eredità?

Spesso avviene che, al momento dell’apertura della successione, sussistano ancora dei debiti del defunto ma che gli stessi siano in via di prescrizione. Il chiamato all’eredità potrebbe allora rifiutare la successione al fine di far desistere i creditori dall’intraprendere le azioni di recupero; quindi attendere – con il consenso degli altri coeredi – il decorso di quel termine necessario a far prescrivere i diritti dei creditori per poi revocare la rinuncia e quindi acquisire il patrimonio del defunto libero da pesi.

 

Quando il testamento non è valido per incapacità

L’incapacità di intendere e volere è causa di nullità del testamento solo se si esclude totalmente la coscienza del testatore di comprendere il significato dei propri atti.

Di solito, si fa testamento quando si è molto anziani o malati, situazioni queste che implicano già di per sé una ridotta lucidità. Ma ciò non basta per far dichiarare nullo il testamento se il soggetto non è già stato interdetto dal tribunale. Ad esempio, una demenza senile, i primi sintomi del Parkinson, la diagnosi precoce di un tumore non sono sufficienti per poter chiedere al giudice, in un momento successivo, l’annullamento del testamento. Ed allora, ci si chiederà: quando il testamento non è valido per incapacità? La risposta viene offerta da numerose sentenze che hanno affrontato il tema. Ecco alcuni importanti chiarimenti pratici.

Chi non può fare testamento?

Non possono fare testamento gli incapaci. Tali sono:

  - i minorenni;

  - gli interdetti per infermità di mente;

  - coloro che, sebbene non interdetti, sono, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere e di volere nel momento in cui fanno testamento.

In tali casi, il testamento può essere impugnato da chiunque vi ha interesse.

L’azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.

Incapacità del testatore: quando il testamento è nullo?

In presenza di un soggetto interdetto, ossia già dichiarato incapace dal giudice, non si pongono dubbi: il testamento è già, a monte, invalido.

I problemi sorgono per coloro che, pur non essendo stati privati della capacità d’intendere e volere da un provvedimento giudiziario, si siano però trovati, al momento della redazione del testamento, in una situazione di assenza o di ridotta capacità per una infermità momentanea (si pensi a un soggetto sotto psicofarmaci o ubriaco) o definitiva (si pensi alla presenza di una grave forma di demenza senile).

Ebbene, secondo i giudici, l’esistenza di una semplice alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius non basta a rendere invalido il testamento.

Serve piuttosto la prova di una infermità (transitoria o permanente) che abbia determinato, nel testatore, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, una privazione assoluta della coscienza dei propri atti (ossia della capacità di comprenderne il significato) o della capacità di autodeterminarsi (ossia della capacità di scelta).

Come dimostrare che il testatore era incapace?

Spetta al giudice, attraverso una perizia eseguita ex post sulla base delle cartelle cliniche e delle testimonianze, accertare se il testatore versasse effettivamente in condizioni intellettive tali da dover far escludere la permanenza di qualsiasi facoltà di discernimento o della possibilità di potersi determinare liberamente e autonomamente nelle proprie scelte.

In tale prospettiva, come detto sopra, non ogni anomalia o alterazione delle facoltà intellettuali implica incapacità di testare, ma occorre, a tale effetto, che l’anomalia incida totalmente sulla coscienza dei propri atti ovvero di quell’attitudine ad autodeterminarsi. E tale condizione non si identifica in una generica alterazione del normale processo di formazione ed estrinsecazione della volontà ma richiede che, a causa dell’infermità, il soggetto, al momento della redazione del testamento, sia assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi.

A chi spetta dimostrare l’incapacità del testatore?

Poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a chi impugna il testamento provare l’incapacità del de cuius, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo.

Il giudice può trarre la prova dell’incapacità del testatore dalle sue condizioni mentali in epoca anteriore o posteriore al testamento, sulla base di una presunzione, potendo l’incapacità essere dimostrata con qualsiasi mezzo di prova.

Dunque, quanto alla ripartizione dell’onere della prova, chi deduce l’invalidità del testamento deve dimostrare che il testamento venne redatto in una condizione di permanente e stabile demenza poiché, in questo caso, l’incapacità di testare si presume e spetta a chi intenda avvalersene dimostrare che lo stesso fu redatto in un momento di lucido intervallo.

Qualora, invece, detta infermità sia intermittente o ricorrente, poiché si alternano periodi di capacità e di incapacità, non sussiste tale presunzione e, quindi, la prova dell’incapacità deve essere data da chi impugna il testamento.

Testamento pubblico e incapacità d’intendere e volere

Non si deve cadere nell’errore di ritenere impugnabile per incapacità d’intendere e volere solo il testamento olografo, ossia quello fatto direttamente dal testatore, senza l’assistenza del pubblico ufficiale. Anche il testamento pubblico, ossia quello alla presenza del notaio, può essere annullato per vizio di mente. E ciò perché lo stato di sanità mentale del testatore, seppure ritenuto e dichiarato dal notaio per la mancanza di segni apparenti di incapacità del testatore medesimo, può essere contestato da chi ne abbia interesse con qualsiasi mezzo di prova. L’atto pubblico fa piena prova solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ma nei limiti della sola attività materiale, immediatamente e direttamente richiesta, percepita e constatata dallo stesso pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni. Il notaio non è un medico in grado di accertare le condizioni mentali del proprio cliente; quindi, in assenza di evidenti sintomi di incapacità, deve procedere alla redazione del testamento che potrebbe però poi essere impugnato per difetto di capacità.

Attenzione: per chiedere l’annullamento del testamento notarile per incapacità d’intendere e volere non c’è bisogno di procedere con la cosiddetta querela di falso, la procedura cioè rivolta a togliere la validità agli atti pubblici. E ciò proprio perché il notaio non è chiamato ad accertare la capacità del testatore.

 

L'ex compagna di cella, gli avvocati e il broker accusati di volersi impadronire del patrimonio della Reggiani

L'ex moglie di Maurizio Gucci ancora nelle cronache.

 L'ex compagna di cella di Patrizia Reggiani è indagata con altre tre persone a Milano per presunta circonvenzione d'incapace. Un nuovo capitolo della saga dell'eredità dell'ex moglie dello stilista Maurizio Gucci, in carcere per 26 anni con l'accusa di avere fatto uccidere il marito, ora residente in centro a Milano in una lussuosa villa avuta in eredità dalla madre Silvana Barbieri, deceduta nel 2019. 

Loredana Canò, questo il nome della donna, conobbe la Reggiani a San Vittore: dividevano la cella. Era stata arrestata con l'accusa di avere tramato per fare uccidere l'ex marito di una sua amica, di cui era gelosa. Dopo la scarcerazione è diventata assistente personale della Reggiani e ora vive con lei nella villa in zona Guastalla. Villa che la Reggiani ha ereditato dalla madre: un'eredità assai cospicuia, che vale in tutto almeno 15 milioni di euro, forse di più, soprattutto in patrimonio immobiliare.

Il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, dopo avere acquisito informazioni da parte di alcuni soggetti interessati all'eredità, ha deciso di aprire un'indagine a carico di quattro persone per circonvenzione d'incapace. L'ex compagna di cella della Reggiani, insieme a due avvocati e un broker finanziario, avrebbe in sostanza cercato di mettere le mani sul patrimonio della madre della Reggiani.

Il patrimonio e l'eredità

La donna, nel testamento, aveva lasciato alla figlia la villa e un capannone di 10 mila metri quadrati nella periferia di Milano, vicino a via Mecenate, destinando a un'apposita fondazione benefica il resto del patrimonio: una quarantina di appartamenti in zona Stazione Centrale, del valore di 14 milioni, e quattro milioni in contanti di cui ne sono stati versati una minima parte. Oltre alla Canò, sono indagati l'avvocato Daniele Pizzi, amministratore di sostegno della Reggiani (voluto e ottenuto dalla madre quand'era ancora in vita), ora sospeso per presunte uscite di denaro su cui far luce, l'avvocato Maurizio Giani, incaricato dalla Barbieri di costituire la fondazione, e Marco Chiesa, un broker di Banca Generali. L'istituto di credito è ovviamente estraneo ai fatti.

Gli ultimi sviluppi sorgerebbero dalla richiesta di una delle due figlie della Reggiani, Allegra Gucci, già sentita dal pm Siciliano, di sottoporre la madre all'amministrazione di sostegno: una richiesta che sarebbe avallata dalle perizie psichiatriche disposte dal Tribunale. Le figlie Alessandra e Allegra Gucci, secondo una sentenza della Cassazione, devono erogare alla madre un vitalizio di un milione e 100 mila franchi all'anno oltre a 35 milioni di arretrati in base a un accordo che era stato stretto tra i genitori.

 

La guardia di finanza del comando provinciale di Catania ha sequestrato beni per oltre un milione di euro per falsità

testamento olografo, riciclaggio e antiriciclaggio, reimpiego di denaro e ricettazione nell’ambito di un’inchiesta della Procura su un presunto sistema fraudolento a danno degli eredi di un’anziana deceduta nel 2015.

Dopo la denuncia degli eredi, indagini del nucleo Pef delle Fiamme Gialle hanno scoperto che, a distanza di quasi un anno dal decesso della signora, era stato fatto redigere un falso testamento dal quale risultava che l’anziana signora aveva nominato erede universale una persona, estranea alla cerchia familiare, per un’asserita vicinanza negli ultimi anni di vita.

Sono stati poi ricostruiti i flussi finanziari relativi alle operazioni di gestione da parte della falsa erede nominata e di altri quattro, il marito e tre figli.

Il patrimonio era costituito da conti correnti bancari, una polizza vita, quattro beni immobili nel centro di Catania e di preziosi, per un valore complessivo di 800 mila euro. Secondo l’accusa, la false erede e i suoi familiari avrebbero riciclato beni, acquistando, in particolare, due immobili a Catania, lingotti e sterline d’oro e compiendo più operazioni bancarie per trasferire su più conti il patrimonio mobiliare della defunta.

A conclusione delle indagini del nucleo Pef della guardia di finanza di Catania, la Procura ha denunciato la falsa erede e i quattro suoi familiari per falso, riciclaggio e autoriciclaggio, reimpiego e ricettazione.

Il Gip ha disposto il sequestro di disponibilità finanziarie sui conti correnti intestati ai soggetti coinvolti nell’illecita attività, oltre che di due immobili a Catania per un valore complessivo di circa un milione di euro.

Eredità con debiti: bisogna restituire le donazioni in vita?

Se una persona fa una donazione di una casa, quando lui dovesse morire, il donatario erediterà anche i debiti? 

Un nostro lettore ci chiede: se mio padre mi dona la sua casa, quando lui verrà a mancare, nel caso in cui dovesse lasciare dei debiti (ad esempio con il Fisco), io ne risponderò? In presenza di una eredità con debito bisogna restituire le donazioni in vita?

La questione merita una più attenta riflessione perché sono stati confusi concetti tra loro differenti: quello della donazione e quello del legato. Facciamo un po’ di chiarezza sul punto.

Quando bisogna restituire le donazioni in vita?

Le donazioni fatte da una persona quando era ancora in vita possono essere contestate dagli eredi, dopo la sua morte e non oltre 10 anni da essa, solo se questi ha lasciato ai familiari più stretti una quota inferiore di quella loro riservata dalla legge (la cosiddetta «quota di legittima»). 

Gli eredi che possono contestare la donazione sono chiamati «eredi legittimari» e sono unicamente il coniuge e i figli (o, in assenza dei figli, i genitori).

Se, dunque, uno degli eredi legittimari dovesse accorgersi che, alla divisione del patrimonio ereditario, la sua quota di legittima è stata lesa potrebbe mettere in discussione il testamento e le donazioni fatte dal defunto quando ancora era in vita. Sicché, il beneficiario della donazione dovrà restituire il bene che aveva ricevuto a suo tempo dal defunto. 

Tale azione può, come detto, essere esercitata non già quando il donante è ancora in vita ma solo dopo la sua morte ed entro massimo 10 anni dall’apertura della successione. L’erede legittimario che assuma di essere stato leso dovrà però considerare le eventuali donazioni che anch’egli abbia ricevuto dal defunto prima che questi morisse, perché anche queste concorrono al calcolo della quota di legittima spettantegli.

Chi risponde dei debiti del defunto?

A rispondere dei debiti del defunto sono solo i suoi eredi, ossia coloro che, chiamati alla successione, fanno la cosiddetta «accettazione dell’eredità». Prima dell’accettazione dell’eredità nessun familiare può essere oggetto delle pretese dei creditori del defunto.

Dall’erede bisogna distinguere la figura del legatario: colui cioè che non subentra in una quota dell’intero patrimonio del defunto ma che, col testamento, riceve solo uno specifico bene da questi. I legatari non rispondono dei debiti del defunto, benché abbiano comunque preso parte, in qualche modo, alla spartizione del relativo patrimonio. Ne rispondono solo se i creditori non siano riusciti a far valere le proprie pretese nei confronti degli eredi e pur sempre nei limiti del valore del bene ricevuto in legato.

Chi riceve una donazione risponde dei debiti del defunto?

Chi riceve una donazione non può mai rispondere dei debiti del defunto, in alcun caso. In questo è possibile ravvisare la profonda differenza tra l’istituzione di un erede o di un legatario da un lato e il beneficiario della donazione dall’altro.

Vero però è che se il donante ha eseguito la donazione in vita per sfuggire ai creditori ed evitare che questi potessero pignorare il bene in questione, tale trasferimento può essere revocato dai creditori stessi entro 5 cinque anni dalla trascrizione del rogito nei pubblici registri immobiliari. È la cosiddetta azione revocatoria. Ma una volta decorsi i cinque anni, la donazione si “solidifica”: diventa cioè definitiva e non comporta alcun rischio per il donatario.

Cosa rischia il donatario alla morte del donante?

Il donatario, alla morte del donante, rischia solo di subire l’azione di riduzione (o «lesione della legittima») intrapresa dagli eredi legittimari del defunto (coniuge, figli o genitori) nel caso in cui questi non abbia rispettato le relative quote di legittima. Ma non può mai subire un’azione di rivalsa da parte dei creditori o degli stessi eredi che, proprio in virtù di tale veste, si siano trovati a dover far fronte alle pretese dei creditori del defunto. 

 

Cassazione: le prove raccolte da un investigatore privato sono valide!

Confermate le sentenze del tribunale di Modena e della corte d'Appello! 

Bologna 23 maggio 2014 

BOLOGNA - Via libera alle investigazioni di un detective privato portate come prova in tribunale in una causa di separazione. E' la Cassazione a stabilirlo dando ragione ad un uomo che aveva assoldato un investigatore per accertare l'infedeltà della moglie. Era stata la signora, che voleva separarsi dal marito, a promuovere la causa chiedendo il mantenimento. Ma i giudici hanno ritenuto che dalle fotografie e dai tabulati telefonici emersi dalle indagini dell'investigatore e portati in tribunale, fosse la nuova relazione della moglie la ragione della definitiva rottura del rapporto tra i due coniugi. Le hanno quindi addebito la separazione, escludendo il suo diritto al mantenimento, nonostante questa avesse sostenuto che il matrimonio fosse in crisi prima della sua infedeltà, tanto che dormivano in camere separate. 

La Cassazione - con la sentenza 11516 della prima sezione civile, che ha confermato quanto stabilito nel merito dal tribunale di Modena e dalla corte d'Appello di Bologna - ha ribadito quanto stabilito dalla stessa Corte nell'ambito dei rapporti di lavoro "ove è consentito al datore di lavoro incaricare un'agenzia investigativa al fine di verificare le condotte illecite da parte dei dipendenti". "Nel contesto della materia familiare - scrivono gli ermellini - parimenti il ricorso all'ausilio di un investigatore privato è ammesso". 

Nel caso dei due coniugi la corte d'Appello ha ritenuto che la violazione del dovere di fedeltà fosse precedente alla domanda di separazione sulla base delle date delle fotografie e dei tabulati telefonici portati in tribunale. Su questo punto aveva fatto ricorso in Cassazione il difensore della donna, opponendo che "la relazione investigativa era stata redatta da un terzo su incarico del marito, dunque senza le garanzie del contradditorio" e che l'investigatore "aveva narrato una serie di fatti giungendo a conclusioni del tutto personali". 

Secondo la Cassazione si tratta "di dati del tutto oggettivi, non di mere deduzioni dell'investigatore privato incaricato". A fronte dell'adulterio, dunque, il marito "ha assolto all'onere della prova su di lui gravante", mentre - conclude la Suprema Corte - "l'anteriorità della crisi matrimoniale" rispetto all'infedeltà, sostenuta dalla moglie, "non è stata positivamente accertata dalla corte di merito".

 

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