Esecutore testamentario
L'art. 700 c.c. prevede la facoltà per il testatore di nominare un esecutore testamentario, cioè una persona di fiducia che deve controllare la corretta attuazione delle sue ultime volontà
Chi è l'esecutore testamentario
L'esecutore testamentario (ex art. 700 c.c.) è il soggetto che ha la funzione di dare esecuzione o curare che sia eseguita dall'onerato, la volontà testamentaria.
L'esecutore testamentario, ai sensi del successivo art. 701 c.c., può essere anche un erede o un legatario, ciò che conta è che l'esecutore abbia la "piena capacità di obbligarsi" e quindi la piena capacità di agire.
Come viene fatta la nomina
Il testatore, ai sensi degli artt. 700 e ss. c.c. ha facoltà di nominare un esecutore testamentario per il caso in cui tutti o alcuni chiamati non vogliano o non possano accettare.
La nomina può essere contenuta in un testamento o in un atto avente la forma testamentaria: si ritiene possibile anche la nomina di un esecutore come mandatario post mortem.
Chi può essere nominato esecutore testamentario
Possono essere nominate, quali esecutori testamentari, solamente i soggetti che hanno piena capacità di obbligarsi e, tra di essi, non sono esclusi i chiamati alla successione: possono quindi essere nominati esecutori gli eredi o i legatari.
L'esecutore nominato dovrà accettare la carica, con una dichiarazione resa alla cancelleria del Tribunale nella cui giurisdizione si è aperta la successione, e l'accettazione viene annotata nel registro delle successioni.
Requisiti formali art. 702 c.c.
L'accettazione della nomina o la rinunzia di esecutore testamentario deve avvenire in forma scritta e deve essere resa, a pena di nullità, presso la cancelleria del tribunale del luogo in cui si è aperta la successione, nonché registrata presso il registro delle successioni. L'accettazione inoltre non potrà essere subordinata a termine o condizioni.
La forma richiesta dall'art. 702 c.c. è ad substantiam e non è quindi ammissibile l'accettazione tacita. L'ultimo comma di tale articolo prevede poi la possibilità, su istanza di qualsiasi interessato, che l'autorità giudiziaria possa assegnare un termine per l'accettazione da parte dell'esecutore decorso il quale lo stesso si si considererà rinunciante. Si tratta in sostanza di un'actio interrogatoria che segue il medesimo procedimento dell'art. 749 c.p.c.
Lo spirare di tale termine determina quindi la decadenza del designato dal potere di accettare la nomina.
Cosa fa l'esecutore testamentario
In virtù di quanto disposto dall'art. 703 c.c., l'esecutore testamentario deve occuparsi della gestione e della cura dei beni ereditari affinché le disposizioni di ultima volontà del testatore siano correttamente eseguite. L'esecutore può porre in essere tutti gli atti di gestione che si rivelino necessari provvedendo ad un'amministrazione dei beni secondo le regole di diligenza del buon padre di famiglia.
A tal fine, di regola e salva contraria volontà del de cuius, l'esecutore prenderà possesso degli stessi. Il terzo comma del medesimo articolo prevede che il possesso dei beni ereditari possa durare un anno a partire dall'accettazione dell'eredità, ferma restando la possibilità per l'autorità giudiziaria in caso di evidente necessità, e previo contraddittorio con gli eredi, di prolungarne la durata per un anno ulteriore.
Nel caso in cui sia necessario alienare i beni ereditari l'esecutore è tenuto a richiedere l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, che procederà anche in questo caso sentiti preventivamente gli eredi. L'autorizzazione è altresì necessaria per tutti gli atti di straordinaria amministrazione che non siano già stati previsti come necessari dal testatore. Da ultimo si ritiene che l'amministrazione dell'eredità avviene a nome dell'esecutore, ma gli effetti degli atti ricadono direttamente nella sfera patrimoniale dell'erede.
Il rendiconto della gestione
L'esecutore testamentario, al termine del primo anno dall'apertura della successione, deve rendere il conto della propria gestione.
L'obbligo del rendiconto sussiste solamente quando l'esecutore abbia avuto l'amministrazione dei beni ereditari e, nonostante sia un ufficio gratuito, egli risponde della propria gestione per colpa.
Ogni interessato può domandare l'esonero dell'esecutore testamentario nel caso di gravi irregolarità nell'espletamento della sua funzione o in caso di comportamenti che abbiano minato la sua fiducia.
L'esecutore testamentario rappresenta processualmente l'eredità: le azioni dovranno quindi essere proposte tanto nei confronti dell'erede, che nei confronti dell'esecutore.
Nonostante sia un ufficio gratuito, il testatore può prevedere, a favore dell'esecutore, una retribuzione a carico dell'eredità.
Ulteriori facoltà dell'esecutore testamentario
In ogni caso l'attività dell'esecutore non si limita alla presa di possesso dei beni e alla loro amministrazione; l'art. 705 c.c. prevede infatti la possibilità per l'esecutore di richiedere l'apposizione di sigilli laddove tra i chiamati all'eredità vi siano dei minori, degli assenti o degli interdetti, o laddove tra i chiamati vi siano delle persone giuridiche. In questi casi è compito dell'esecutore far redigere l'inventario dei beni dell'eredità.
A norma dell'art. 704 c.c. poi durante la gestione dell'esecuzione del testamento le azioni relative all'eredità devono essere proposte anche nei confronti dell'esecutore.
Lo stesso ha poi la facoltà di intervenire nei giudizi promossi dall'erede e può esercitare le azioni inerenti all'esercizio del suo ufficio.
Si tratta di due ipotesi differenti: nelle azioni relative all'eredità la legittimazione passiva spetta all'erede e l'esecutore testamentario è litisconsorte necessario ex art. 102 c.p.c., viceversa nelle azioni inerenti all'ufficio l'esecutore gode di autonoma legittimazione.
Tra le azioni inerenti all'ufficio si annoverano le azioni dirette ad accertare i diritti successori e le azioni volte ad individuare i soggetti cui l'esecutore deve consegnare i beni dell'eredità, nonché le azioni concernenti la validità o meno del testamento.
Divisione e consegna dei beni dell'eredità
Ove l'esecutore non sia un erede o un legatario il testatore può prevedere che lo stesso, previa audizione degli eredi, proceda alla divisione tra gli eredi dei beni dell'eredità in osservanza di quanto disposto dall'art. 733 c.c.
In ogni caso, a norma dell'art. 707 c.c., l'esecutore testamentario deve provvedere a consegnare all'erede che lo richieda i beni che non siano necessari all'esercizio del suo ufficio. In base a tale disposizione quindi l'esecutore è tenuto alla consegna dei beni ove l'erede ne faccia richiesta, laddove sussistano sufficienti garanzie per l'adempimento dei compiti che l'esecutore deve svolgere.
Viene precisato, inoltre, che l'esecutore non possa rifiutarsi di consegnare i beni a causa di obbligazioni che lo stesso debba adempiere in conformità a quanto disposto dal testatore o di legati sottoposti a termine o condizione, nel caso in cui l'erede abbia dimostrato di averli già soddisfatti o abbia offerto idonea garanzia in tal senso.
Responsabilità dell'esecutore testamentario per gravi irregolarità
L'art. 710 c.c. prevede che su istanza di ogni interessato, l'autorità giudiziaria possa esonerare l'esecutore dal suo ufficio in caso di "gravi irregolarità nell'inadempimento dei suoi obblighi, per inidoneità dell'ufficio o per aver commesso azione che ne menomi la fiducia".
Si ritiene che le gravi irregolarità possano essere integrate anche da comportamenti negligenti, non essendo necessario il dolo da parte dell'esecutore. L'autorità giudiziaria potrà provvedere solo previa audizione dell'esecutore, ove decida per l'esonerò non potrà però provvedere alla nomina di altro esecutore non designato direttamente dal testatore.
Compenso esecutore testamentario
In dottrina si ritiene pressoché unanimemente che si tratti di un ufficio di diritto privato che trova la sua fonte nella volontà del testatore.
Infatti, nonostante sussista un interesse di carattere pubblicistico dato dalla corretta gestione dei beni ereditari, ciò non vale per ciò solo a determinare che l'esecutore testamentario possa essere equiparato alla figura del pubblico ufficiale.
Di regola è di carattere gratuito, ferma restando la facoltà del testatore, a norma dell'art. 711 c.c., di stabilire una retribuzione posta a carico dell'eredità.
In ogni caso, le spese necessariamente connesse all'attività dell'esecutore che sono quindi state effettuate nell'esercizio dei doveri o dei poteri dell'esecutore, ivi comprese le spese giudiziali, sono poste a carico dell'eredità ex art. 712 c.c.
Che cos’è l’eredità giacente
Si ha eredità giacente (artt. 528 e ss. c.c.) nel periodo di tempo che intercorre tra l'apertura della successione e l'accettazione dell'eredità. Il fine è assicurare una tutela al patrimonio ereditario di cui si occuperà un curatore appositamente nominato
Cosa si intende per eredità giacente
La giacenza è una condizione che si verifica nelle situazioni di incertezza sulla destinazione del patrimonio ereditario: essa ha luogo quando si è aperta la successione e il chiamato all'eredità non ha ancora accettato e, analogamente, quando non si ha notizia di eventuali eredi in vita del de cuius.
Il legislatore per assicurare una tutela del patrimonio ereditario in questa fase ha previsto che si nomini, d'ufficio o su istanza di parte, un curatore che amministri l'eredità giacente.
L'art. 528 primo comma c.c. dispone, infatti, che: "Quando il chiamato non ha accettato l’eredità e non è nel possesso di beni ereditari, il tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza delle persone interessate o anche d’ufficio, nomina un curatore dell’eredità “.
La normativa di riferimento
L'eredità giacente è disciplinata sia dal codice civile che dal codice di procedura civile.
Gli articoli di riferimento sono i seguenti:
- 528 c.c. sulla nomina del curatore; art. 529-art- 531 c.c. sugli obblighi e i compiti del curatore; art. 532 c.c. sulla cessazione della curatela per accettazione dell'eredità;
- 781-783 c.p.c., rispettivamente, sulla notificazione del decreto di nomina del curatore, sulla vigilanza del giudice, sulla vendita dei beni ereditari; art. 193 disp. att. c.p.c. sul giuramento del curatore dell'eredità giacente.
Eredità giacente ed eredità vacante: differenza
L'elemento caratterizzante la giacenza, che è appunto la situazione di incertezza, è alla base della distinzione tra l'eredità giacente e l'eredità vacante.
Quest'ultima, infatti, è un istituto caratterizzato dalla certezza (e non incertezza) della mancanza di chiamati all'eredità (e tale consapevolezza comporta la devoluzione di quest'ultima a beneficio dello Stato).
I presupposti dell'eredità giacente
I presupposti che fondano la giacenza, stabiliti dall'articolo 528 del codice civile, sono:
- la mancata accettazione dell'eredità da parte del chiamato,
- il mancato possesso dei beni ereditari da parte del chiamato,
- la nomina del curatore dell'eredità giacente.
Con riferimento al primo presupposto, parte della dottrina, aderendo al dato letterale, ritiene che la giacenza possa verificarsi solamente quando vi sia un unico chiamato alla successione; altra dottrina, preferibile, ritiene invece che essa sussista anche nel caso in cui vi siano più chiamati.
Il problema sorge nel caso in cui vi siano più chiamati e, di questi, non tutti abbiano accettato: in tal caso, per la quota non accettata, può essere nominato un curatore della quota ereditaria giacente? Sul punto vanno segnalate due sentenze della Corte di cassazione che si sono pronunciate sula questione, ma in maniera differente tra loro: la numero 2611 del 22 febbraio 2001, che dà risposta negativa, e la numero 5113 del 19 aprile 2000, che dà invece risposta positiva.
Il curatore dell'eredità giacente
La nomina del curatore è l'atto che costituisce la giacenza in quanto, con essa, il chiamato all'eredità perde i poteri dei quali godeva ai sensi dell'articolo 460 del codice civile (rubricato "Poteri del chiamato prima dell'accettazione").
Del resto, l'istanza per la nomina del curatore viene effettuata proprio a causa dell'inerzia del chiamato il quale, non volendo accettare e non volendo essere autorizzato a compiere gli atti necessari, lascia in stato di abbandono il patrimonio ereditario.
Chi può chiedere la nomina del curatore dell'eredità giacente
L'istanza per la dichiarazione di giacenza dell'eredità e la nomina del curatore può essere proposta da chiunque vi abbia interesse.
L'assistenza del difensore è facoltativa.
Per richiedere l'apertura della procedura di eredità giacente occorre fare ricorso al giudice della successione (con relativa nota di iscrizione) cui allegare una serie di documenti (certificato di morte, certificato storico anagrafico del defunto e della sua famiglia di origine attestanti l'inesistenza di chiamati all’eredità entro il 6° grado, marca da bollo da euro 27,00, contributo unificato di euro 98,00).
Cosa fa il curatore dell'eredità giacente
Il curatore dell'eredità giacente è titolare di un ufficio di diritto privato, che si perfeziona a seguito del giuramento. Tra i suoi obblighi rientra, primo tra tutti, quello di redigere l'inventario del patrimonio ereditario e di compiere gli atti urgenti.
Tale soggetto ha la legittimazione processuale in nome e per conto dell'eredità, amministra il patrimonio ereditario per tutta la durata della giacenza e, previa autorizzazione del Tribunale, ha facoltà di liquidare le passività, compiere attività d'impresa e vendere beni immobili (nel caso di necessità o utilità evidente).
Cessazione della curatela
La curatela cessa non per abbandono dell'ufficio da parte del curatore (nel qual caso si provvederà alla nomina di altro curatore) ma nei casi di:
- accettazione dell'eredità da parte del chiamato,
- esaurimento dell'attivo ereditario
- accertamento della mancanza di chiamati all'eredità.
In tale ultima ipotesi viene dichiarata la vacanza ereditaria e l'unico successore è lo Stato.
Successione testamentaria: come si fa?
Come si divide l’eredità del defunto se c’è un testamento: la nullità, le contestazioni e le lesioni delle quote di legittima.
Quando si parla di successione testamentaria ci si riferisce alla spartizione dell’eredità del defunto attuata secondo le ultime volontà da questi espresse nel testamento. Come si fa la successione testamentaria? C’è una prima parte che compete al testatore nel momento in cui redige il testamento: questi infatti è tenuto a rispettare determinate forme e requisiti per rendere valido il testamento stesso e far sì che esso non possa essere contestato. C’è poi una successiva fase che coinvolge invece gli eredi nel momento in cui si apre la successione ossia dopo la morte del testatore.
In questa guida, di carattere schematico, proveremo a spiegare come si fa la successione testamentaria, quali sono i passaggi e gli adempimenti che le parti in gioco devono rispettare per procedere alla corretta spartizione del patrimonio.
Cos’è la successione testamentaria?
La successione testamentaria è la procedura rivolta a ripartire il patrimonio del defunto secondo le quote da questi indicate nel proprio testamento. Essa quindi presuppone l’esistenza di un testamento valido, sia esso un testamento olografo o fatto tramite il notaio (di tanto parleremo meglio a breve).
La successione testamentaria si contrappone perciò alla successione legittima, che è invece quella che si verifica in assenza di testamento o con un testamento invalido: in tal caso, infatti, il patrimonio del defunto viene diviso tra i suoi familiari secondo porzioni prestabilite dal Codice civile.
Se il testamento dispone per una parte soltanto delle sostanze del defunto, per le restanti si applica la successione per legge. Si ha così una successione mista.
Attraverso il testamento, il testatore può istituire eredi alcuni soggetti che per legge non lo sarebbero (ad esempio, amici o onlus) o prevedere quote diverse rispetto a quelle sancite dalla legge salvo riservare una quota minima (cosiddetta “legittima”) al coniuge e ai figli (o, in assenza dei figli, ai genitori).
Come si fa il testamento?
Ci sono tre modi per fare un testamento.
Il primo è il testamento olografo, quello cioè redatto dallo stesso testatore con carta e penna, datato e firmato. Non può essere scritto al computer o fatto tramite una registrazione vocale o video. Il testamento viene da lui custodito personalmente. Potrebbe però essere affidato anche a terzi (in tal caso, però, non è possibile fare fotocopie ma bisognerà creare tanti originali identici per quante sono le persone a cui si vuol dare il proprio testamento). Il testamento olografo può anche essere custodito presso un notaio.
Il secondo modo per fare testamento è il testamento pubblico. In questo caso, l’atto viene dettato a un notaio che lo redige, lo firma e lo custodisce. Seppur più costosa, questa forma di testamento non crea i tipici problemi del testamento olografo: non ci potranno infatti essere contestazioni in merito all’autenticità della firma o della scrittura, né tentativi di distruzione o alterazione ad opera di terzi.
Infine, meno usato, è il testamento segreto, che è quello redatto anche tramite il computer o da un terzo e poi sottoscritto dal testatore e infine custodito dal notaio.
Cosa scrivere in un testamento?
Nel testamento, il suo autore può limitarsi a indicare le quote spettanti ai singoli eredi o ripartire tutti i beni specificando a chi questi debbano essere assegnati.
Il testatore deve in ogni caso sapere che alcuni parenti prossimi, ossia il coniuge e i figli o, in assenza dei figli, i genitori, sono tutelati dalla legge. Questi soggetti sono chiamati legittimari: ad essi è riservata una quota minima dell’eredità, a prescindere dalla volontà del testatore stesso. Essi non possono quindi essere diseredati o ricevere meno di quanto la legge riserva loro. Ma per calcolare se un legittimario è stato leso o meno bisogna anche considerare le donazioni che questi ha ricevuto dal testatore quando era ancora in vita.
Il testatore può anche nominare un esecutore testamentario che gestisca la successione, o un tutore a soggetti minorenni. Il testamento può contenere anche o solo disposizioni non patrimoniali.
Come si apre la successione?
La legge dice che chi è in possesso di una copia del testamento deve consegnarla al notaio affinché lo pubblichi, ossia ne dia lettura e lo registri.
Gli eredi potrebbero anche non ricorrere al notaio se hanno già trovato un accordo sulla spartizione dei beni del defunto e tra loro non insorgono contestazioni. Tuttavia, la presenza del notaio sarà necessaria in presenza di eventuali immobili affinché il cambio di proprietà sia trascritto nei pubblici registri. Si potrebbe anche procedere alla voltura catastale senza ricorrere al notaio (recandosi personalmente presso il Catasto) ma a patto che il bene non debba poi essere venduto o donato. Difatti, qualora si dovesse profilare la necessità di un trasferimento della titolarità dell’immobile, bisognerà ricorrere al notaio affinché trascriva prima il passaggio di proprietà dal defunto all’erede e poi da quest’ultimo al terzo cessionario.
Quando si apre la successione?
Formalmente, la successione si apre nel momento della morte del testatore. È da questo momento infatti che retroagiscono tutti gli effetti conseguenti al passaggio di proprietà dei suoi beni, anche se l’accettazione dell’eredità dovesse intervenire dopo molto tempo.
Dove si fa l’apertura della successione?
La successione si apre nel luogo di ultima residenza del defunto. È questo che segna la competenza territoriale del tribunale nel caso in cui dovessero insorgere contestazioni tra gli eredi.
Quali sono le pratiche della successione?
Entro un anno dall’apertura della successione gli eredi devono presentare all’Agenzia delle Entrate la cosiddetta dichiarazione di successione. Questa serve a liquidare le imposte sull’eredità. A presentarla può essere anche un solo erede, senza bisogno del consenso degli altri.
Successivamente, bisogna procedere ad accettare l’eredità. L’accettazione ha effetto retroattivo e ha effetto dal momento dell’apertura della successione, sicché ci sarà una continuità tra la proprietà del defunto e quella dell’erede. Chi accetta l’eredità risponde anche dei debiti del defunto, tranne le sanzioni amministrative, fiscali, penali, le multe stradali, gli obblighi alimentari, i debiti di gioco.
Qui si profilano una serie di ipotesi.
Si può accettare l’eredità in forma espressa, recandosi presso la cancelleria del tribunale o presso il notaio e fornendo la propria dichiarazione.
È anche possibile un’accettazione tacita, ossia con un comportamento concludente come la vendita dei beni del defunto o la riscossione dei crediti.
L’accettazione può anche avvenire con beneficio di inventario: in tal caso, l’erede risponde dei debiti del defunto nei limiti del valore di quanto ricevuto con la successione, senza quindi “rimetterci”. In pratica, i creditori del defunto potranno pignorare solo i beni che l’erede ha ricevuto in successione e non anche quelli personali come avviene invece per gli eredi puri e semplici.
Se l’erede non intende rispondere dei debiti del defunto deve rifiutare l’eredità.
Quanto tempo per accettare l’eredità?
Per accettare l’eredità ci sono 10 anni, a meno che i creditori del defunto non chiedano al giudice di ridurre tale termine.
Chi però è nel possesso dei beni del defunto (ad esempio, un convivente) ha meno tempo: entro tre mesi dal decesso deve fare l’inventario dei beni e nei successivi 40 giorni deve comunicare se intende accettare o meno l’eredità, altrimenti si considera erede puro e semplice.
Si può revocare l’accettazione dell’eredità?
L’accettazione dell’eredità non si può revocare, neanche se l’erede non era stato messo al corrente dell’ammontare dei debiti del defunto.
Si può revocare la rinuncia all’eredità?
La rinuncia all’eredità è un atto revocabile a patto che non siano decorsi dieci anni dall’apertura della successione e il patrimonio non sia già stato distribuito integralmente.
Come contestare un testamento?
Varie sono le ipotesi in cui si può contestare un testamento.
Il testamento olografo è nullo se la scrittura non è quella del testatore o se manca della firma.
Il testamento è annullabile se risulta che il testatore lo ha redatto sono minaccia, anche psicologica, da parte di un terzo; se è l’effetto del dolo di un terzo ossia se la volontà del testatore viene fuorviata attraverso l’utilizzo di artifizi o raggiri; se il testatore lo ha redatto in una condizione (dimostrabile) di incapacità di intendere e volere.
Il testamento può essere contestato entro 10 anni dalla sua apertura dai soli eredi legittimari (coniuge, figli e genitori) se questi non hanno ricevuto le quote loro spettanti per legge.
Cos’è il legato?
Il testatore può istituire uno o più legati, cioè attribuire a determinati soggetti, che non diventano eredi, beni o diritti determinati. Il legato si acquista automaticamente senza bisogno di accettazione, salva la facoltà di rinunziare.
Il legatario ha la facoltà di rinunziare al legato. Se il legato ha ad oggetto beni immobili, la rinunzia deve essere fatta in forma scritta a pena di nullità.
Chi ha diritto alla quota di legittima?
Hanno diritto alla quota di legittima:
- il coniuge o la parte dell’unione civile,
- i figli (legittimi o naturali) e i loro discendenti
- in assenza di figli, i genitori.
La quota di legittima spettante a ciascuno degli appartenenti a tali categorie varia a seconda di come gli stessi concorrono tra loro (uno più figli, coniuge e figli, etc.).
Cosa succede se gli eredi legittimari non vengono rispettati?
Se il testatore non ha rispettato le quote di legittima dei legittimari questi hanno 10 anni dal decesso del defunto (non potendo mai agire prima di questo momento) per contestare la divisione ereditaria e rimettere in discussione tutta la spartizione del patrimonio. A tal fine potranno contestare le disposizioni testamentarie per ripristinare le proprie quote di legittima. Se ciò non dovesse bastare, essi possono anche contestare le donazioni fatte dal testatore in vita. In tal modo si evita che questi, per ledere i legittimari, intesti i propri beni a eventuali amici o familiari prediletti prima di morire. Dopo 10 anni, però, il testamento non può più essere contestato.
Potrebbe succedere che il donatario del testatore ceda a terzi il bene ricevuto in donazione. Ebbene, i legittimari possono pretendere dal terzo la restituzione del bene se non sono decorsi 20 anni dalla trascrizione della donazione.
Rinuncia all’eredità: si può revocare
Come si fa la revoca della rinuncia all’eredità, quali le condizioni e i termini, e quando è conveniente farla.
Come noto, chi accetta l’eredità non può poi revocare tale scelta. Non può cioè tornare sui suoi passi neanche se dovesse accorgersi, a un più approfondito esame, dell’esistenza di debiti del de cuius di cui non aveva conoscenza. Al contrario, la rinuncia all’eredità si può revocare. Detto in parole povere, chi ha rifiutato la qualità di erede può cambiare idea e acquisire la quota del patrimonio del defunto che gli sarebbe spettata. Tuttavia, ai fini della revoca della rinuncia all’eredità è necessario che sussistano determinate condizioni. Di tanto parleremo meglio qui di seguito.
Cos’è la rinuncia all’eredità?
Fino a quando il chiamato all’eredità non dichiara se accettare la qualità di erede, questi non subentra nelle posizioni giuridiche del defunto. Quindi, non è proprietario dei suoi beni ma non succede neanche nei relativi debiti.
L’accettazione va fatta dinanzi al notaio o al cancelliere del tribunale del luogo ove si è aperta la successione. Attenzione però: l’accettazione può avvenire anche senza una dichiarazione espressa se il chiamato pone un comportamento incompatibile con la volontà di rinunciare (come l’utilizzo o la vendita dei beni del defunto, l’accatastamento in proprio favore di un immobile, la riscossione dei canoni di locazione a questi dovuti, ecc.). In tali situazioni, si verifica ciò che la legge chiama accettazione tacita dell’eredità.
A voler essere precisi, non bisognerebbe neanche parlare di rinuncia all’eredità visto che tale acquisto non si è ancora verificato nel suo patrimonio: egli, infatti, compie un atto di rifiuto mediante il quale respinge la possibilità di acquistare l’eredità e quindi abdica alla qualità di chiamato all’eredità. La rinuncia non sarebbe riferibile all’eredità, che non è ancora entrata nel patrimonio del chiamato, ma al diritto di accettare l’eredità stessa; diritto che è sorto con l’apertura della successione.
Si può revocare la rinuncia all’eredità?
Come abbiamo detto in partenza, la rinuncia all’eredità può essere revocata. Con la revoca, quindi, il chiamato diventa erede. In pratica, la rinuncia produce lo stesso effetto dell’accettazione dell’eredità, con conseguente acquisizione della quota del patrimonio del defunto con effetto retroattivo (a partire dall’apertura della successione, ossia dal decesso).
La revoca della rinuncia all’eredità è prevista espressamente dall’articolo 525 del Codice civile a norma del quale «fino a che il diritto di accettare l’eredità non è prescritto contro i chiamati che vi hanno rinunziato, questi possono sempre accettarla, se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell’eredità».
La revoca della rinuncia all’eredità implica non solo l’acquisizione del patrimonio attivo del defunto ma anche di quello passivo, ossia dei debiti. La responsabilità per le obbligazioni del defunto è “pro quota”: in buona sostanza, ciascun erede è tenuto a corrispondere solo una parte dei debiti del defunto, quella corrispondente alla sua quota. Solo con riferimento ai debiti tributari relativi a Irpef e imposta di successione si verifica una solidarietà passiva: in altri termini, l’Agenzia delle Entrate può chiedere l’integrale pagamento a ciascun singolo erede, indipendentemente dalla sua quota.
Come si fa la revoca della rinuncia all’eredità?
La revoca potrà rivestire la stessa forma disposta dalla legge per l’accettazione, ossia può essere:
- espressa, con dichiarazione rilasciata al notaio o al cancelliere del tribunale;
- tacita ossia con un comportamento concludente del tutto simile a quello di chi accetta l’eredità in modo tacito.
Invero si discute se l’accettazione successiva possa avvenire tacitamente, atteso che la rinuncia è un atto formale e, quindi, è inammissibile una revoca tacita della rinuncia. Esistono dei precedenti della Cassazione secondo cui la revoca della rinuncia può essere solo espressa: «In tema di rinunzia all’eredità, la quale determina la perdita del diritto all’eredità ove ne sopraggiunga l’acquisto da parte degli altri chiamati, l’atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne (dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni). Pertanto non è ammissibile una revoca tacita della rinunzia». Tuttavia, si ammette la possibilità che l’accettazione successiva avvenga anche in maniera tacita, in quanto in tal caso la revoca della rinuncia non viene concepita come atto a sé stante, ma quale effetto dell’accettazione.
Quando è possibile la revoca della rinuncia all’eredità?
La revoca della rinuncia all’eredità è subordinata a due condizioni:
- non deve essere caduto in prescrizione il diritto di accettare l’eredità, il che significa che non devono essere decorsi 10 anni dall’apertura della successione;
- la quota che sarebbe spettata all’erede rinunciatario non deve essere stata, nel frattempo, acquisita da un altro chiamato all’eredità (ad esempio il figlio). Ragion per cui la revoca della rinuncia all’eredità non è possibile nel momento in cui tutto il patrimonio è stato ormai diviso tra gli eredi.
La quota del rinunziante non deve quindi essere stata già acquistata da altri chiamati. Tale acquisto può avvenire sia per un atto di accettazione (espressa o tacita) che automaticamente nelle ipotesi di accrescimento.
Quando conviene revocare la rinuncia all’eredità?
Spesso avviene che, al momento dell’apertura della successione, sussistano ancora dei debiti del defunto ma che gli stessi siano in via di prescrizione. Il chiamato all’eredità potrebbe allora rifiutare la successione al fine di far desistere i creditori dall’intraprendere le azioni di recupero; quindi attendere – con il consenso degli altri coeredi – il decorso di quel termine necessario a far prescrivere i diritti dei creditori per poi revocare la rinuncia e quindi acquisire il patrimonio del defunto libero da pesi.
Quando il testamento non è valido per incapacità
L’incapacità di intendere e volere è causa di nullità del testamento solo se si esclude totalmente la coscienza del testatore di comprendere il significato dei propri atti.
Di solito, si fa testamento quando si è molto anziani o malati, situazioni queste che implicano già di per sé una ridotta lucidità. Ma ciò non basta per far dichiarare nullo il testamento se il soggetto non è già stato interdetto dal tribunale. Ad esempio, una demenza senile, i primi sintomi del Parkinson, la diagnosi precoce di un tumore non sono sufficienti per poter chiedere al giudice, in un momento successivo, l’annullamento del testamento. Ed allora, ci si chiederà: quando il testamento non è valido per incapacità? La risposta viene offerta da numerose sentenze che hanno affrontato il tema. Ecco alcuni importanti chiarimenti pratici.
Chi non può fare testamento?
Non possono fare testamento gli incapaci. Tali sono:
- i minorenni;
- gli interdetti per infermità di mente;
- coloro che, sebbene non interdetti, sono, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere e di volere nel momento in cui fanno testamento.
In tali casi, il testamento può essere impugnato da chiunque vi ha interesse.
L’azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.
Incapacità del testatore: quando il testamento è nullo?
In presenza di un soggetto interdetto, ossia già dichiarato incapace dal giudice, non si pongono dubbi: il testamento è già, a monte, invalido.
I problemi sorgono per coloro che, pur non essendo stati privati della capacità d’intendere e volere da un provvedimento giudiziario, si siano però trovati, al momento della redazione del testamento, in una situazione di assenza o di ridotta capacità per una infermità momentanea (si pensi a un soggetto sotto psicofarmaci o ubriaco) o definitiva (si pensi alla presenza di una grave forma di demenza senile).
Ebbene, secondo i giudici, l’esistenza di una semplice alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius non basta a rendere invalido il testamento.
Serve piuttosto la prova di una infermità (transitoria o permanente) che abbia determinato, nel testatore, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, una privazione assoluta della coscienza dei propri atti (ossia della capacità di comprenderne il significato) o della capacità di autodeterminarsi (ossia della capacità di scelta).
Come dimostrare che il testatore era incapace?
Spetta al giudice, attraverso una perizia eseguita ex post sulla base delle cartelle cliniche e delle testimonianze, accertare se il testatore versasse effettivamente in condizioni intellettive tali da dover far escludere la permanenza di qualsiasi facoltà di discernimento o della possibilità di potersi determinare liberamente e autonomamente nelle proprie scelte.
In tale prospettiva, come detto sopra, non ogni anomalia o alterazione delle facoltà intellettuali implica incapacità di testare, ma occorre, a tale effetto, che l’anomalia incida totalmente sulla coscienza dei propri atti ovvero di quell’attitudine ad autodeterminarsi. E tale condizione non si identifica in una generica alterazione del normale processo di formazione ed estrinsecazione della volontà ma richiede che, a causa dell’infermità, il soggetto, al momento della redazione del testamento, sia assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi.
A chi spetta dimostrare l’incapacità del testatore?
Poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a chi impugna il testamento provare l’incapacità del de cuius, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo.
Il giudice può trarre la prova dell’incapacità del testatore dalle sue condizioni mentali in epoca anteriore o posteriore al testamento, sulla base di una presunzione, potendo l’incapacità essere dimostrata con qualsiasi mezzo di prova.
Dunque, quanto alla ripartizione dell’onere della prova, chi deduce l’invalidità del testamento deve dimostrare che il testamento venne redatto in una condizione di permanente e stabile demenza poiché, in questo caso, l’incapacità di testare si presume e spetta a chi intenda avvalersene dimostrare che lo stesso fu redatto in un momento di lucido intervallo.
Qualora, invece, detta infermità sia intermittente o ricorrente, poiché si alternano periodi di capacità e di incapacità, non sussiste tale presunzione e, quindi, la prova dell’incapacità deve essere data da chi impugna il testamento.
Testamento pubblico e incapacità d’intendere e volere
Non si deve cadere nell’errore di ritenere impugnabile per incapacità d’intendere e volere solo il testamento olografo, ossia quello fatto direttamente dal testatore, senza l’assistenza del pubblico ufficiale. Anche il testamento pubblico, ossia quello alla presenza del notaio, può essere annullato per vizio di mente. E ciò perché lo stato di sanità mentale del testatore, seppure ritenuto e dichiarato dal notaio per la mancanza di segni apparenti di incapacità del testatore medesimo, può essere contestato da chi ne abbia interesse con qualsiasi mezzo di prova. L’atto pubblico fa piena prova solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ma nei limiti della sola attività materiale, immediatamente e direttamente richiesta, percepita e constatata dallo stesso pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni. Il notaio non è un medico in grado di accertare le condizioni mentali del proprio cliente; quindi, in assenza di evidenti sintomi di incapacità, deve procedere alla redazione del testamento che potrebbe però poi essere impugnato per difetto di capacità.
Attenzione: per chiedere l’annullamento del testamento notarile per incapacità d’intendere e volere non c’è bisogno di procedere con la cosiddetta querela di falso, la procedura cioè rivolta a togliere la validità agli atti pubblici. E ciò proprio perché il notaio non è chiamato ad accertare la capacità del testatore.
L'ex compagna di cella, gli avvocati e il broker accusati di volersi impadronire del patrimonio della Reggiani
L'ex moglie di Maurizio Gucci ancora nelle cronache.
L'ex compagna di cella di Patrizia Reggiani è indagata con altre tre persone a Milano per presunta circonvenzione d'incapace. Un nuovo capitolo della saga dell'eredità dell'ex moglie dello stilista Maurizio Gucci, in carcere per 26 anni con l'accusa di avere fatto uccidere il marito, ora residente in centro a Milano in una lussuosa villa avuta in eredità dalla madre Silvana Barbieri, deceduta nel 2019.
Loredana Canò, questo il nome della donna, conobbe la Reggiani a San Vittore: dividevano la cella. Era stata arrestata con l'accusa di avere tramato per fare uccidere l'ex marito di una sua amica, di cui era gelosa. Dopo la scarcerazione è diventata assistente personale della Reggiani e ora vive con lei nella villa in zona Guastalla. Villa che la Reggiani ha ereditato dalla madre: un'eredità assai cospicuia, che vale in tutto almeno 15 milioni di euro, forse di più, soprattutto in patrimonio immobiliare.
Il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, dopo avere acquisito informazioni da parte di alcuni soggetti interessati all'eredità, ha deciso di aprire un'indagine a carico di quattro persone per circonvenzione d'incapace. L'ex compagna di cella della Reggiani, insieme a due avvocati e un broker finanziario, avrebbe in sostanza cercato di mettere le mani sul patrimonio della madre della Reggiani.
Il patrimonio e l'eredità
La donna, nel testamento, aveva lasciato alla figlia la villa e un capannone di 10 mila metri quadrati nella periferia di Milano, vicino a via Mecenate, destinando a un'apposita fondazione benefica il resto del patrimonio: una quarantina di appartamenti in zona Stazione Centrale, del valore di 14 milioni, e quattro milioni in contanti di cui ne sono stati versati una minima parte. Oltre alla Canò, sono indagati l'avvocato Daniele Pizzi, amministratore di sostegno della Reggiani (voluto e ottenuto dalla madre quand'era ancora in vita), ora sospeso per presunte uscite di denaro su cui far luce, l'avvocato Maurizio Giani, incaricato dalla Barbieri di costituire la fondazione, e Marco Chiesa, un broker di Banca Generali. L'istituto di credito è ovviamente estraneo ai fatti.
Gli ultimi sviluppi sorgerebbero dalla richiesta di una delle due figlie della Reggiani, Allegra Gucci, già sentita dal pm Siciliano, di sottoporre la madre all'amministrazione di sostegno: una richiesta che sarebbe avallata dalle perizie psichiatriche disposte dal Tribunale. Le figlie Alessandra e Allegra Gucci, secondo una sentenza della Cassazione, devono erogare alla madre un vitalizio di un milione e 100 mila franchi all'anno oltre a 35 milioni di arretrati in base a un accordo che era stato stretto tra i genitori.
La guardia di finanza del comando provinciale di Catania ha sequestrato beni per oltre un milione di euro per falsità
testamento olografo, riciclaggio e antiriciclaggio, reimpiego di denaro e ricettazione nell’ambito di un’inchiesta della Procura su un presunto sistema fraudolento a danno degli eredi di un’anziana deceduta nel 2015.
Dopo la denuncia degli eredi, indagini del nucleo Pef delle Fiamme Gialle hanno scoperto che, a distanza di quasi un anno dal decesso della signora, era stato fatto redigere un falso testamento dal quale risultava che l’anziana signora aveva nominato erede universale una persona, estranea alla cerchia familiare, per un’asserita vicinanza negli ultimi anni di vita.
Sono stati poi ricostruiti i flussi finanziari relativi alle operazioni di gestione da parte della falsa erede nominata e di altri quattro, il marito e tre figli.
Il patrimonio era costituito da conti correnti bancari, una polizza vita, quattro beni immobili nel centro di Catania e di preziosi, per un valore complessivo di 800 mila euro. Secondo l’accusa, la false erede e i suoi familiari avrebbero riciclato beni, acquistando, in particolare, due immobili a Catania, lingotti e sterline d’oro e compiendo più operazioni bancarie per trasferire su più conti il patrimonio mobiliare della defunta.
A conclusione delle indagini del nucleo Pef della guardia di finanza di Catania, la Procura ha denunciato la falsa erede e i quattro suoi familiari per falso, riciclaggio e autoriciclaggio, reimpiego e ricettazione.
Il Gip ha disposto il sequestro di disponibilità finanziarie sui conti correnti intestati ai soggetti coinvolti nell’illecita attività, oltre che di due immobili a Catania per un valore complessivo di circa un milione di euro.